L’AIA

L’AIA

L’aia, mattino

Qui un tempo era una piazza.

Delle voci che riempivano l’aia, delle cantilene,

della risa sguaiate dei villani

resta solo l’eco nel canto egli uccelli.

Le voci dei canti son perdute e rimangono le pietre,

ormai vestite del color dell’acqua, che piano, dal sottosuolo,

le riporta agli stati primevi, giaciglio immemore della terra bruna.

Una piazza dove il grano batteva e profumava le chianche,

dove pestava il bue, con la bocca serrata per non mangiare;

coloro che ricordano le piazzaora stanno per morire

e ne parlano come un mondo di fiaba,

che hanno lasciato abbagliati dal sogno

di un esistenza dove il lavoro non fosse piu fatica…

Forse del loro rimpianto è piu cupo il mio stupore,

a me è concesso soltanto visitarne le rovine.

Come la chiglia marcita sulla rena,

scheletro un tempo di possente scafo,

l’aia mostra al sole e alla pioggia ogni sua pietra, o quasi

qualcuna già si è ritirata dietro un manto di gramigna

e tuttavia conserva la sua bellezza;

fino a quando l’ultima pietra resisterà all’assalto dell’erba

canterà al vento la litania dei mietitori.

 

 

L’aia, mezzodi

Sui crinali della bassa murgia il fragno resta ancora indisturbato e dove è pianura, i campi di grano e foraggio si stendono in attesa, sotto questo cielo avaro di lacrime.

La cintano i muri a secco, che per chilometri testimoniano l’intervento , dell’uomo su questa terra dall’anima di pietra, troppo magica per non essere dipinta;

A giugno, con l’arrivo dell’arsura i campi, verdissimi fino alla trebbiatura, mutano d’aspetto da un giorno all’altro e dove era solo un mare di erba alta appaiono i covoni, come fossero spuntati dalla terra, creare magnifici giochi d’ombre e di luce…

Viene l’arsura e tutto si veste di un giallo pallido, come se la vita fosse ricacciata nelle viscere della terra; giallo secco e muri e il grigio della pietra che ora sembra astar per spaccarsi sotto il sole di luglio. Interminabile estate che acceca persino il ricordo dell’ultima festa di colore, quando a Maggio ogni cespuglio buttava un fiore. L’unico verde quello del fico e delle pale di fico d’India color carminio, l’unico verde quello del fragno, che pure ha nelle fronde i toni vermigli di quell’arsura, oppresso dalla selva di cardi secchi e di calcare, che solo a guardarlo per dipingere ti viene sete…

 

L’aia, crepuscolo

Settembre; è ancora caldo, ma il paesaggio comincia a risvegliarsi. Parte l’aratura e nella distesa di giallo si fa strada il marrone acceso della terra, appena violata.

Pian piano, uno ad uno i campi si svestono del loro drappo di sete ed alle prime piogge gia il verde dei germogli esplode.

Autunno di armonia e giorni operosi, la natura ha i colori del sogno.

Ai margini del bosco bruciato in Agosto, le fronde superstiti picchiettano d’ocra il nero opaco,

dove sembrava scomparsa la vita.

Sulle mulattiere di polvere, che di bianco hanno tinto anche i muri, l’autunno stende un sudario di foglie, il vento sferza (lo stesso che le strappò i rami) ed ora le invola di nuovo,

mantiene la promessa di altitudini ormai perdute, che durano fino alle quiete.

 

La terra e la Pietra

Il paesaggio pugliese vive di questo connubio; la sua bellezza è il risultato del contrasto dolorosodi rosso e grigio, terra e pietra.

I muri a secco, che vogliono sancire l’appartenenza inattaccabile del campo alle mani di chi li ha innalzati, estrapolano la pietra strato dopo strato, come un trofeo di impareggiabile contesa contro l’ostilità della natura…

L’aia giace come i muretti contro il rosso riarso dei campi.

In lontananza è un lembo di terra a cui pare abbiano strappato la pelle, non si distingue quasi la sua forma, solo qualcosa che è li perché qualcuno ce l’ha messa.

Avevano bisogno di una spiazzo lastricato all’aperto, come un piazza edificata pietra su pietra.

Con l’aiuto dei buoi, che trascinavano una pietra a forma di goccia appiattita, stando attenti a che non defecasero sull’oro della terra, trinciavano le spighe tagliate a mano. Successivamente per separare la paglia di scarto dai chicchi di grano, lanciavano in aria il tutto a colpi di forcone e il vento faceva il resto. Non rimaneva infine che raccogliere i chicchi dorati dal lastricato.

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