I FIGLI DELLA CITTA’ VECCHIA

I FIGLI DELLA CITTA’ VECCHIA

 L’auto risale la china di asfalto posata tra le mura antiche ,

 oggi è una via

  dove un tempo era la porta di ponente;

 anch’io sono una forza del passato.

 

 

  L’anima affamata mi porta ancora a metter passi nella tramontana

e gia il respiro ha un altro odore

quando dal varco del porto s’apre la piazza

“sòp a Sand Piìt”

luogo di nessuno che della piazza conserva solo il cielo.

 

S.Maria del Buonconsiglio

Tra le case una gabbia di pietra

ed ecco , la vita pura e sleale di questi fiori

 La vita che pensiamo passata e che invece di nuovo accade

a reiterare fresca , nei giochi nuovi

l’eterno rituale d’anime , gia prigioniere

non della gabbia (che anzi, le fa piu vere)

ma di inattaccabile, prenatale rabbia.

  Tra le case una gabbia di pietra

(gli cheyenne hanno fatto saltare il tetto a pallonate)

otto colonne spogliate di uno scopo terreno

 indicano il cielo,

spazio agognato sopra il labirinto.

 

 Da decenni,

dribblano sulla fascia

dove il mosaico snellisce il guizzo alla pedata

e mirano tra i pali di marmo

portati sul campo dopo i romani

da qualche sventurato tempio…

Un nuovo dio , oramai, occupa il cuore di questi mortali

e non nelle veci ,come in passato, di straniera divinità pagana

o moresco teorema, ne di Buddah di terza mano…

 

 È un dio a forma di pallone .

 

  se ne parla come un dio che incarni a botte di milioni,

l’anima e la bile del popolo tutto

un rantolo di frasi che brulica e tutto sommerge,

favole, riti e storia

 in un corale rutto.

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